In Italia non esistono unicorn, ovvero startup valutate almeno 1 miliardo di dollari. Questo è un dato tristemente interessante, dato che tra esse sicuramente si nascondono i colossi di domani: sono una diapositiva dell’economia che verrà.
Gli italiani più ricchi hanno più di 70 anni e sono titolari di aziende come Luxottica, Ferrero, Menarini… Gli americani più ricchi sono sotto i 70 e sono titolari di aziende nate dopo gli anni 70 (anzi per lo più nel nuovo millennio): facebook, amazon, microsoft… Nei secoli scorsi le aziende italiane hanno primeggiato nel mondo. Oggi non ne abbiamo di nuove e piano piano, com’è nella natura delle cose, le aziende vengono vendute, cambiano proprietà, si accorpano e il tessuto industriale italiano si impoverisce.
Di chi è colpa?
Della politica in primis, che in cerca di consenso ha fatto alleanza stretta con gruppi industriali e sindacati per mantenere lo status quo e non ha avuto il coraggio di stravolgere completamente le regole del gioco. Ad oggi non c’è un partito che sia uno che propone qualcosa di nuovo per il paese, di coraggioso. Questo ovviamente comporterebbe levate di scudi soventi e continue e nessuno vuole perdere consenso.
Ma non solo.
Della classe imprenditoriale. Sì, perchè in Italia abbiamo gli (im)prenditori, che si accordano, che rifiutano la concorrenza, che chiedono maggiori protezioni e tutele. Nessuno accetta il mercato e la competizione. Di contro i giovani e le startup preferiscono un piccolo business subito remunerativo che non una strada lunga ma con mete ambiziose. Un vero imprenditore guadagna cifre a tanti zeri, ma ha anche passato momenti della vita inventandosi come mettere insieme il pranzo con la cena in nome di quel sogno.
Ma non solo.
Dei cittadini soprattutto: che non hanno compreso che le battaglie per l’economia, il fisco, la burocrazia, i sacrifici e i cambiamenti scomodi servono a tutti. Tutti pronti a scendere in piazza contro Uber, contro Deliveroo, contro fnac. Si fa quadrato contro un mondo che cambia, per non farlo attecchire da noi, che potrebbe anche essere una romantica battaglia se non fosse che questo ci chiama sempre più fuori dal resto del mondo. Siete pronti ad accettarne le conseguenze?
I giovani che scendono in piazza con le sardine non mi emozionano per il movimentismo sognatore: fanno solo compassione, perchè stanno perdendo l’occasione di cambiare questo paese. Avete combattuto la flessibilità confondendola con la precarietà, rendendoci in realtà sempre più precari.
L’Italia sarà sempre più il posto d’Europa e del mondo dove venire a fare le vacanze e niente più. E per forza di cose i nostri figli qui staranno solo d’estate, ma andranno a costruirsela altrove la loro vita, perchè sogneranno di lavorare in facebook, google, airB&B, booking, non in ferrero, luxottica o fiat. Questi posti saranno ambiti da chi viene da paesi che ancora campano di agricoltura, verso i quali la nostra archeoindustria può essere ancora appetibile. Questo accade non per colpa dei poteri forti. Ce la stiamo costruendo da soli questa gabbia.